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I brani preferiti, i commenti e le immagini più interessanti, andranno a comporre una sorta di “ipertesto” che sarà pubblicato sul sito del Vittoriale al termine della mostra.

Il “corno” ASCOLTAMI è un progetto di Italo Rota, realizzato in malta speciale i.design EFFIX di Italcementi, pensato in occasione della prima edizione della mostra D’Annunzio e i Giardini di Pan.

I brani

Brani tratti da, Gabriele d’Annunzio, Alcione, I. Caliaro (a cura di), introduzione di P. Gibellini, Einaudi, Torino, 1995 e 2010

1. Madrigali dell’estate

Nella belletta

Nella belletta i giunchi hanno 1’odore delle persiche mezze e delle rose passe, del miele guasto e della morte.
Or tutta la palude e come un fiore lutulento che il sol d’agosto cuoce, con non so che dolcigna afa di morte.
Ammutisce la rana, se m’appresso. Le bolle d’aria salgono in silenzio.

2. La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
[…]
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi

3. Le stirpi canore

I miei carmi son prole
delle foreste,
altri dell’onde,
altri delle arene,
altri del Sole,
altri del vento Agreste.
Le mie parole
sono profonde
come le radici
terrene,
altre serene
come i firmamenti,
fervide come le vene
degli adolescenti,
ispide come i dumi,
confuse come i fumi
confusi,
nette come i cristalli
del monte,
tremule come le fronde
del pioppo,
tumide come le narici
dei cavalli
a galoppo,
labili come i profumi
diffusi,
vergini come i calici
appena schiusi,
notturne come le rugiade
dei cieli,
funebri come gli asfodeli
dell’Ade,
pieghevoli come i salici
dello stagno,
tenui come i teli
che fra due steli
tesse il ragno.

4. La sera fiesolana

Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.

5. Il fanciullo

[…]
Natura ed Arte sono un dio bifronte
che conduce il tuo passo armonioso
per tutti i campi della Terra pura.
Tu non distingui l’un dall’altro vólto
ma pulsare odi il cuor che si nasconde
unico nella duplice figura.

6. Ditirambo I

[…]
E s’udiva in ogni meriggio
venir dagli orizzonti
infiammati la voce
e il tuono di Pan sopra a noi.
E ululava la torma feroce:
“O Pan, aiuta, aiuta!”

7. Meriggio

[…]
e il fiume è la mia vena,
il monte è la mia fronte,
la selva è la mia pube,
la nube è il mio sudore.
E io sono nel fiore
della stiancia, nella scaglia
della pina, nella bacca
del ginepro: io sono nel fuco,
nella paglia marina,
in ogni cosa esigua,
in ogni cosa immane,
nella sabbia contigua,
nelle vette lontane.

8. Feria d’Agosto

[…]
Flauti silvestri, e il nume vi conceda
il tono giusto.
Fanciulli, attenti! Fate un bel concerto.
Pan vi guardi da nota roca o agra.
Quest’ospite che v’ode ha orecchio esperto;
vien di Tanagra.

9. Il Piacere

cap VII
Ella entrò portando nella sopravveste e tra le braccia un gran fascio di rose rosee, bianche, gialle, vermiglie, brune. Alcune larghe e chiare, come quelle della Villa Pamphily, freschissime e tutte imperlate, avevano non so che di vitreo tra foglia e foglia; altre avevano petali densi e una dovizia di colore che faceva pensare alla celebrata magnificenza delle porpore d’Elisa e di Tiro; altre parevano pezzi di neve odorante e facevano venire una strana voglia di morderle e d’ingoiarle; altre erano di carne, veramente di carne, voluttuose come le più voluttuose forme d’un corpo di donna, con qualche sottile venatura.