Scrittori: Sant’Uffizio, tutti i romanzi di D’Annunzio sono peccaminosi. Studioso pubblica i documenti inediti della condanna del 1911


venerdì 13 luglio 2012

Roma, 12 lug. – (Adnkronos) – La trama di tutti i romanzi di Gabriele D’Annunzio, eccetto uno, ”Le vergini delle rocce”, e’ ”a base di relazioni peccaminose”. Fu questo uno dei principali capi di accusa che portarono il Sant’Uffizio a condannare nel 1911 l’opera del Vate mettendola all’Indice dei Libri proibiti. A leggere i romanzi dello scrittore, rimanendone scandalizzato anche per il paganesimo e la blasfemia, fu – per conto del collegio dei cardinali della Sacra Congregazione dell’Indice – padre Giuseppe Maria Checchi da Monterotondo, appartenente all’Ordine dei Frati minori cappuccini, che il 15 febbraio 1911 consegno’ la sua relazione di condanna.
La documentazione inedita degli Archivi Vaticani e’ presentata nel saggio ”Gabriele d’Annunzio e la Santa Sede” di Matteo Brera, professore di letteratura italiana presso il Dipartimento di Lingue e Culture Europee dell’Universita’ di Edimburgo, pubblicata sulla rivista ”Quaderni del Vittoriale”
Il frate cappuccino trovo’ immediadamente una serie di dati a suo giudizio inattaccabili per sostenere il suo capo d’imputazione. Gia’ dal primo romanzo, ”Il piacere” (1889), l’accusa rilevo’ una prima, inappuntabile conferma: Andrea Sperelli, il protagonista dell’opera, era un ”nobile libertino, che passa di amore in amore, lascia ed e’ lasciato, tenta le piu’ oneste, e fa cadere le più scienziose”. Padre Checchi considero’ la figura di Sperelli come proiezione di d’Annunzio, specie quando afferma ”l’ideale suo”. ”E’ tutto il d’Annunzio”, concludeva padre Checchi dopo l’esame del libro.
Secondo il religioso del Sant’Uffizio, lo scrittore faceva coincidere volutamente i personaggi che creava con se’ stesso, in particolar modo quando facevano professione di ”vita inimitabile”, come lo Sperelli, ma anche come Tullio Hermil ne ”L’innocente” (1891). Anche in questo secondo romanzo, padre Checchi sottolineava come emergesse chiaramente ”quanto la disonesta passione degradi l’uomo, lo renda cattivo e ne amareggi la vita”. ”L’onda di sensualita”’ pervadeva l’intero volume: una scena ”voluttuosa” si protraeva addirittura ”per diecine e diecine di pagine”.
Ma l’intollerabilita’ delle vicende narrate era massima, secondo padre Checchi, nel ”Trionfo della morte” (1894), in cui sia il soggetto del romanzo sia il suo svolgimento risultavano contaminati da una serie pressoche’ interminabile di oscenita’. Di fatto, la sommaria descrizione preliminare dell’intreccio da parte di padre Checchi non lasciava dubbi sulla natura scandalosa dei contenuti: ”Un libertino che ama un’adultera e si piglia con essa tutte le soddisfazioni: quindi annoiato di tutto, diffidente di tutti e di quello stesso amore che nutre, pensa al suicidio, e vi pensa tanto che finisce coll’uccidere se’ e l’amante, gettandosi in mare”.
Similmente scandaloso era ”Il fuoco” (1900), il romanzo nel quale d’Annunzio meglio dipingeva se’ stesso, secondo padre Checchi: ”Un poeta dalle stravaganti concezioni, che ammira Venezia in una luce di fuoco naturale, artistico, voluttuoso’. Bocciata anche la trama di ”Forse che si’ forse che no” (1910). Per definirla, a padre Checchi bastarono tre frasi, quasi un epigramma: ”Questo romanzo celebra il trionfo dell’aviazione. Altam supra volat Ardea Nubem, è il motto del libro. Ma se il velivolo Ardea vola sopra le nubi, il racconto striscia nel fango”.